Partiamo, innanzitutto, dalla definizione secondo la treccani del termine Ominazione.Il termine “ominazióne” deriva dal latino homo -mĭnis «uomo» e in antropologia intende il complesso di quei processi evolutivi (quali l’acquisizione di un’andatura esclusivamente bipede, lo sviluppo del cervello, la formazione di un linguaggio articolato e la capacità di trasmissione culturale) che, da una forma primitiva di primate ominide, hanno condotto all’attuale specie umana.
Quale relazione ha questo con i nostri amici a quattrozampe? come fanno i nostri fedeli compagnia riconoscere l’intonazione e il senso delle parole, percepire le emozioni di noi uomini a seconda delle espressioni facciali e loro stessi riescono a comunicare grazie alla mimica? Nel febbraio del 2015 alcuni scienziati che in Etiopia stavano studiando le relazioni che intercorrono tra i babbuini Gelada (primati della famiglia dei Cercopitecidi) e i caberù hanno ipotizzato che l’iniziativa di vivere in gruppo non l’avesse presa l’uomo ma un antico antenato dei cani di oggi. La decodifica del genoma di alcune specie di lupi e cani ha confermato tale ipotesi. Questo animale amico dell’uomo fu addomesticato circa 18000 anni fa, molto prima della comparsa dell’agricoltura. I ricercatori ritengono che le specie meno aggressive degli antichi lupi seguissero i cacciatori-raccoglitori assimilandosi gradualmente alle comunità umane. A differenza dei loro predecessori i cani domestici di oggi apprezzano gli uomini non per il cibo gratis ma per l’attenzione loro riservata e per le emozioni positive, conferma Gregory Berns, neurobiologo americano dell’Università Emory (USA) nel suo libro Come ci amano i cani anteponendo il legame emotivo a quello puramente utilitaristico della necessita di cibo. I cani posseggono, di fatto, una corteccia cerebrale più sviluppata rispetto ai gatti, alle iene o ai lupi. Il golden retrieve, ad esempio, possiede circa 530 milioni di neuroni corticali (cioè legati alla corteccia cerebrale), due volte di più dell’orso bruno il quale ha un cervello tre volte più grande di quello dei cani. Nell’antichità questo cervello così sviluppato ha reso i cani selvatici efficienti predatori e oggi permette ai loro addomesticati posteri di eseguire comandi complessi e a di riuscire a comprendere circa 200 parole. Gli scienziati ipotizzano che il discorso, nel cervello dei cani, viene elaborato in modalità simile a quelle presenti nell’uomo. I cani riescono a distinguere il significato delle parole e la loro intonazione. I neurofisiologi dell’Università di Budapest hanno fatto sentire a 13 cani le registrazioni della voce di un’addomesticatrice: o brevi frasi con un senso logico o un insieme sconclusionato di congiunzioni. La risonanza al cervello dei cani testati ha dimostrato che l’emisfero sinistro responsabile della comprensione del linguaggio è stato attivato solamente quando i cani ascoltavano il discorso con un significato. L’attività della regione deputata all’udito aumentava se le frasi erano pronunciate con un’intonazione favorevole indipendentemente dal fatto che avessero un senso o meno. Inoltre gli studiosi hanno evidenziato che i complimenti provocavano sempre una risposta nel centro del piacere del cervello canino.
Nell’interazione con l’uomo i cani utilizzano tutti i sensi: udito, vista, olfatto, tatto. Chiaramente la mimica svolge un ruolo grandissimo: non solo i visi ma anche i corpi e, in particolare, il cambiamento di postura (ciò che spesso viene chiamata motilità)”, afferma Anna Shubkina, responsabile capo del laboratorio di ecologia comportamentale dei mammiferi presso l’Istituto dei problemi ecologici ed evoluzionari A. N. Severtsov dell’Accademia russa delle scienze. I cani sono in grado di riconoscere l’umore dell’uomo in base alle espressioni facciali non solo del suo proprietario ma anche di chi vedono per la prima volta. I ricercatori ritengono che questi animali associno il sorriso ad emozioni positive e le ciglia aggrottate ad emozioni negative. Ciò è possibile perché i cani stessi fanno uso della mimica quando comunicano con animali della loro specie e con i loro proprietari. I cani hanno ereditato questa caratteristica dai loro antenati, i lupi che sono ritenuti animali sociali. Pat Shipman, antropologa dell’Università dello Stato della Pennsylvania (USA), nel suo libro Invasori scrive che proprio grazie all’addomesticamento del lupo e la sua mutazione in cane l’uomo di Cro-Magnon ha ottenuto un vantaggio sull’uomo di Neanderthal il quale non aveva alleati come il cane. Secondo Anna Shubkina anche se questa teoria non fosse vera è indubbio il valore del cane nell’ominazione: la necessità e la capacità di trovare una lingua comune e di capire il rappresentante di un’altra specie sono state appannaggio solamente di protoumani e protocanidi particolarmente sviluppati. Hanno imparato a comunicare e a interagire, il che ha garantito loro dei vantaggi nell’evoluzione. “L’empatia è la capacità di comprendere le emozioni e i desideri di un altro essere e per i cani è molto importante. Proprio l’empatia bilanciando l’aggressività è alla base del comportamento degli animali sociali, fra i quali vi è anche l’uomo. Ciò è particolarmente vero nel gioco. Vi è come una sincronizzazione, un aggiustamento reciproco che si esprime sia a livello di mimica facciale che corporea”, spiega l’esperto. Secondo i ricercatori dell’Università di Princeton, il segreto dell’attitudine propositiva e della socievolezza dei cani si cela in due geni, il GTF2I e il GTF2IRD1. Nell’uomo mutamenti di questi due geni sono legati alla sindrome di Williams. Le persone affette da questa sindrome hanno un ritardo mentale ma si distinguono per la loro bonarietà, l’attitudine all’ascolto e l’affidabilità. Gli studiosi ritengono che agli albori dell’addomesticamento del cane questa mutazione sia comparsa in un piccolo gruppo di lupi antichi. Erano più buoni e meno pericolosi e, per questo, gli umani li addomesticarono.
“L’idea di “geni dell’addomesticamento” separati stride con i risultati di uno dei maggiori progetti scientifici del XX secolo: le fatiche pluriennali di Dmitry Belyaev e dei suoi collaboratori e seguaci sull’addomesticamento delle volpi e di altri animali. Gli studiosi hanno stabilito che durante l’addomesticamento viene riorganizzato l’intero genoma e il legame “un gene, un carattere” è quasi sempre un’astrazione. Non funziona con la maggior parte dei caratteri degli animali superiori. Questo è legato al fatto che noi non siamo la somma dei nostri geni ma il risultato dell’interazione di molti geni e proteine nel processo di ontogenesi (sviluppo individuale) in condizioni uniche per ognuno di noi. Inoltre, un medesimo gene è deputato a espletare funzioni diverse in rappresentanti di specie, classi e ordini diversi o in esseri viventi che si trovano in fasi di evoluzione differenti. Per questo non si possono fare analogie dirette”, precisa Shubkina.
Tanto più che nei test sulle capacità intellettive i cani ottengono buoni risultati. Stanley Coren, professore di psicologia all’Università della Columbia Britannica (Canada) ha dimostrato che i cani hanno un’intelligenza simile a quella di un bambino di due anni e sono incredibilmente dediti ai padroni. E questi ricambiano il loro affetto. Secondo un recente studio della Northeastern University di Boston (USA) in alcune situazioni gli uomini sono più in sintonia con i cani che con i propri simili.
Fonte: Sputinik.ru